Nick Cave & Warren Ellis: Carnage (Goliath Enterprises Limited)

Il concerto più emozionante della mia vita? Non ho dubbi: Nick Cave & The Bad Seeds a Victoria Park, Londra, il 3 giugno del 2018. E dopo non c’è stato niente, non solo per via di quel grande buco nero che ha inghiottito tutta la musica dal vivo insieme a molti altri piaceri sociali.

Sono sicuro che, se avessi avuto la possibilità di vedere in azione su un palco qualsiasi altro artista vivente, nessuno sarebbe stato all’altezza di Nick Cave e della sua band quella sera. Esagerato? Lo escludo in maniera irrevocabile. Voglio dire, sto parlando del più grande poeta in circolazione, qui le chiacchere stanno a zero. Un uomo che, solo per riferirci alla sua produzione più recente, negli ultimi anni ha consegnato al pubblico un trittico di capolavori in studio (Push the sky away, 2013; Skeleton tree, 2016; il doppio Ghosteen, 2019) più il live piano solo Idiot prayer – Nick Cave alone at Alexandra Palace, uscito sul finire dello scorso anno contemporaneamente all’omonimo film diretto da Robbie Ryan.

Carnage è il nuovo album, registrato insieme al fido Warren Ellis, il diavolo barbuto e polistrumentista di Ballarat, già fondatore dei Dirty Three, diventato in un ventennio il braccio destro di Cave su diversi progetti (dalle colonne sonore per il cinema ai due lavori sotto la sigla Grinderman) nonché prossimo a pubblicare She walks in Beauty, l’omaggio in musica ai grandi poeti inglesi Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, firmato con Marianne Faithfull.

Scritto e inciso nell’arco di due settimane, Carnage arriva dopo la dolorosa confessione autobiografica di Ghosteen e riapre le porte al Cave narratore di un’umanità che respira, cammina per il mondo, soffre, gioisce, si interroga. “Ci sono alcuni che provano a scoprire chi / Ci sono altri che cercano di scoprire perché / E altri ancora che non provano a cercare niente” sono le prime parole di Hand of God, il pezzo che apre la raccolta. Ancora Dio, per il forte lettore della Bibbia come di Flannery O’Connor, Sylvia Plath e Derek Raymond. Presenza ultraterrena supplicata e bestemmiata, quasi sempre evidente nelle pagine dell’australiano, nelle canzoni e nei romanzi (e il titolo dell’album Kicking Against the Pricks del 1986 rimandava direttamente a un versetto degli atti degli Apostoli; The Good Son del 1990 faceva riferimento alla parabola del figliol prodigo). La mano di Dio muove gli avvenimenti mondani: inferno, purgatorio, paradiso sono qui, da qualche parte, invisibili solo agli stolti, sembra dire il poeta mentre egli stesso appare impegnato a dare un senso alla natura, al dolore, a ciò che l’uomo arriva a fare ai suoi simili (“Sto venendo a farti del male /     Con la pistola nei pantaloni piena di lacrime di elefante / E un cavalluccio marino su ogni braccio / Con la mia pistola elefante di lacrime / Vi sparerò tutti gratis”, canta in White Elephant). La grande, eterna battaglia contro se stessi finisce solo quando si cessa di mostrare indifferenza verso la condizione umana, altrimenti la carneficina (“carnage”, appunto) è garantita.

Non c’è il registro furioso dei Grinderman sotto raffiche di feedback o dei Bad Seeds lanciati nei gironi satanici del rock and roll. Prevale una qualità di soluzioni sonore affidate ad archi, pianoforte, battiti elettronici che fanno da contrappunto a una voce – nata nel punk e stagionata dal blues – che in Old time parla di lune acquose, sogni defunti, cambi di direzione, ribaltamenti nel tempo e nello spazio (“Abbiamo preso una svolta sbagliata da qualche parte”) e più avanti aggiunge: “Ovunque tu sia, tesoro, io non sono così lontano”.

Cave & Ellis sono complementari (si era già capito guardando l’esperimento tra documentario e fiction di Iain Forsyth e Jane Pollard 20,000 Days on Earth); fratelli nella musica, in sintonia quando si tratta di mettere bene a fuoco le risorse creative a disposizione dell’uno e dell’altro: in tal senso, brani come Albuquerque o la conclusiva Balcony Man (“A cosa devo credere? / Sono l’uomo del balcone / Dove tutto è ordinario finché non lo è più”) sono altissimi esempi di composizione, arrangiamento, esecuzione. Pochi elementi, l’essenziale sfruttato al meglio. Il canzoniere di Nick Cave si è arricchito di altre otto gemme, la maturità raggiunta dall’artista è paragonabile solo a quella acquisita nel tempo da Michael Gira e dai suoi mai abbastanza lodati Swans.

Questione di sensibilità: prendi il tuo dolore, lo sommi a quello del mondo in cui vivi, poi provi a mettere le tue impressioni in un racconto, una ballata, una frase d’amore vero. “È solo amore / E arriva come un treno / Rotolando giù dalle montagne / Sotto la pioggia” (Carnage).

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