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Vivere Piano: intervista a Orazio Saracino sul suo nuovo album

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Redazione

Siamo orgogliosi di ospitare oggi Orazio Saracino, classe ’85, compositore e pianista pugliese al suo secondo album di inediti: “Vivere Piano”.

Diplomato con lode in pianoforte, specializzando in pianoforte jazz, master in composizione di musica per film in fase di conseguimento, svariati premi prestigiosi all’attivo, numerose collaborazioni in giro per l’Italia con diverse formazioni, insegnante e direttore artistico, senza dimenticare che è anche un ingegnere ambientale.

Dopo l’uscita di “IncontroTempo Suite” nel 2017 per l’etichetta “Workin’ Label” esce, alla fine di un anno in cui la “lentezza” si è presa una rivincita, il suo nuovo lavoro. Ne parliamo direttamente con lui.

Benvenuto Orazio, è un piacere averti con noi oggi. “Vivere Piano”, oltre ad essere il titolo del progetto, sembra un manifesto. Come immagini una società ispirata dai principi della lentezza?

Una società in cui le piccole botteghe di quartiere si prendono finalmente la loro rivincita. Una società in cui muoversi in maniera sostenibile non rappresenti più l’eccezione. Una società in cui il lavoro si basa sugli obiettivi, e non sulle timbrature del cartellino. In cui chi corre, lo fa solo per tenersi in forma. Insomma, una società che tragga ispirazione da quanto di buono ci sta insegnando l’esperienza della pandemia, ferma restando la sua drammaticità, in cui tuttavia vengano ripristinate le relazioni umane, l’arte e la cultura.

 

L’album include quattro brani vocali, ciascuno affidato ad altrettanti vocalist. Nella scrittura di una canzone, parti dal testo o dall’architettura melodico-armonica?

Mi viene naturale partire dal testo, per quanto io provi già ad immaginare possibili melodie nascoste tra i versi, facendomi guidare dalla metrica, e a ragionare su una bozza di struttura armonica e di arrangiamento. Si può definire, dunque, come processo creativo integrato.

 

Molto coraggiosa la scelta di pubblicare l’album nonostante i teatri e le sale concerto siano chiuse. Come mai?

Certo, il tempismo non è stato ideale. Ma sono convinto che la musica non debba fermarsi, anzi, in questo periodo di sospensione forzata del tempo, quale occasione migliore per dedicarsi ad attività sane come la lettura di un romanzo o l’ascolto di un disco. Inoltre, la scelta di uscire a fine novembre può far sì che le tracce abbiano il tempo per sedimentare, prima di poter esplodere a nuova vita una volta che i live potranno finalmente ripartire.

 

Il tuo secondo progetto riprende un po’ la scia del primo (“IncontroTempo Suite – Workin’ Label 2017), sia rispetto al numero di tracce (nove) che alla loro struttura (parte vocali, parte strumentali). Altri aspetti in comune, il ricorso a stili e linguaggi musicali diversi nonché la partecipazione di una nutrita schiera di musicisti. Pensi di applicare questo stesso schema anche ai tuoi prossimi lavori discografici?

È uno schema in cui mi trovo a mio agio, nella misura in cui posso far confluire al suo interno tutte le mie anime musicali, dal jazz alla musica classica, dalle colonne sonore ad un certo tipo di cantautorato. Quanto alle collaborazioni, mi piace attorniarmi di musicisti straordinari, ma prima di tutto amici, che possano aggiungere colori alla mia tavolozza. Il numero nove, infine, è assolutamente casuale.
Non escludo, pertanto, di ripetere questo schema anche in futuro. Ma se penso ad un ipotetico terzo album, immagino un progetto interamente in pianoforte solo. Una grande sfida che, prima o poi, vorrò affrontare.

 

C’è una traccia del disco, la numero sette (“Noi del Sud”) che sembra in antitesi rispetto all’intero concept: un brano spumeggiante e ritmicamente vivace che si contrappone al mood pacato, quasi sottovoce, che caratterizza le altre tracce. Come potresti giustificarla?

Spesso mi si fa notare come la mia musica viaggi quasi sempre sui binari dell’introspezione. D’altro canto, rispecchia quello che rappresenta il mio essere riservato, la mia indole tranquilla. Con “Noi del Sud” ho provato a tirare fuori quella parte di me assai nascosta che, invece, tende all’esuberanza.
Sembrerebbe pertanto fuori tema rispetto alla filosofia del disco. In realtà, a guardare con attenzione il testo, si possono ritrovare in esso tanti elementi che richiamano il concetto di “lentezza”.

 

Consiglieresti ad un giovane che si avvicina al mondo della musica di iscriversi in Conservatorio?

Assolutamente sì. L’esperienza del Conservatorio ha cambiato profondamente la mia maniera di approcciarmi alla musica, contribuendo a farmi acquisire una certa apertura mentale, offrendomi tantissimi spunti e competenze nuove (tra cui quella della composizione) nonché la possibilità di entrare a far parte di una preziosa rete di conoscenze. Credo molto nell’Istituzione, nonostante sia bistrattata dai più.

 

L’ultimo disco che hai ascoltato?

African magic” di Abdullah Ibrahim.

 

Orazio, ti piacerebbe scrivere di altri artisti che stimi?

Sarebbe molto interessante. Non mi sono mai cimentato con questo tipo approccio alla scrittura, essendo più spostato sulle liriche e i testi di canzone. Tuttavia, perché porsi dei limiti?

 

Ringraziamo moltissimo Orazio per la sua disponibilità e a questo punto speriamo di leggere presto i suoi contributi sul nostro sito.

Vi lasciamo con tutti i suoi riferimenti, il suo album tutto da ascoltare ed il video del brano “Noi del Sud” di cui abbiamo parlato.

Sito web: www.oraziosaracino.it

Profilo artista su Spotify: https://open.spotify.com/artist/6h2j1UXtK3BQfo4SNKs9YQ

Canale Youtube: https://www.youtube.com/c/OrazioSaracino

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/OrazioSaracinoMusic/

 

 

Redazione

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